Il Governo si impegni per ottenere la collaborazione dell'Egitto sulla vicenda di Regeni

Adesione ad una mozione per chiedere al Governo di impegnarsi affinché l'Egitto collabori per arrivare alla verità su quanto avvenuto a Regeni.

Testo della mozione:

Atto n. 1-00069 con procedimento abbreviato - Pubblicato il 2 agosto 2023, nella seduta n. 95

VERDUCCI, BOCCIA, PATUANELLI, DE CRISTOFARO, UNTERBERGER, SCALFAROTTO, ALFIERI, DELRIO, BAZOLI, MIRABELLI, LORENZIN, NICITA, ZAMBITO, IRTO, BASSO, D'ELIA, ZAMPA, ROSSOMANDO, CAMUSSO, CASINI, CRISANTI, CUCCHI, FINA, FLORIDIA, FRANCESCHELLI, FRANCESCHINI, FURLAN, GIACOBBE, GIORGIS, LA MARCA, LOSACCO, MALPEZZI, MAGNI, MANCA, MARTELLA, MELONI, MISIANI, PARRINI, RANDO, ROJC, SENSI, SPAGNOLLI, TAJANI, VALENTE, VERINI, VERSACE

Il Senato,
premesso che:
il 3 febbraio 2016, in un fosso lungo l’autostrada che collega Il Cairo ad Alessandria nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti, è stato ritrovato il corpo senza vita di Giulio Regeni, rapito il 25 gennaio dello stesso anno;
il giovane ricercatore italiano aveva già lavorato a Il Cairo per l’UNIDO e aveva svolto per un anno ricerche per conto della società privata di analisi politiche Oxford Analytica. Nel 2016 stava conseguendo un dottorato di ricerca presso il Girton College dell’Università di Cambridge e si trovava in Egitto per svolgere una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani presso l’Università Americana de Il Cairo;
il corpo recuperato mostrava evidenti segni di torture: contusioni, lividi estesi e abrasioni in tutto il corpo. Furono riscontrate più di due dozzine di fratture ossee, tra cui sette costole rotte, tutte le dita delle mani e dei piedi, così come entrambe le gambe, le braccia e scapole, oltre a cinque denti rotti. Inoltre, furono rinvenuti, finanche nelle piante dei piedi, i segni di diverse coltellate, numerose bruciature e tagli;
una tortura interminabile dunque che sconvolse l’Italia tutta e fece dire alla madre del giovane ricercatore una frase mai dimenticata: “Ho visto nel volto di mio figlio tutto il male del mondo”;
sul corpo di Giulio Regeni sono state svolte due autopsie separate, una a cura di medici egiziani, l’altra a cura dei medici italiani. Il 2 marzo 2016 è stata consegnata all’ambasciata italiana una relazione forense ufficiale egiziana dove si attesta che il giovane italiano sia stato torturato per sette giorni a intervalli di dieci - quattordici ore prima di essere ucciso;
considerato che:
il generale Khaled Shalabi, direttore delle indagini di Giza, ha dichiarato che Giulio Regeni era stato vittima di un semplice incidente stradale e smentito il fatto che nel corpo ci fossero tracce di proiettili o accoltellamenti. In un secondo momento, la polizia egiziana ha sostenuto che l’omicidio potesse essere avvenuto a causa di una relazione omosessuale, o per spaccio di sostanze stupefacenti. Secondo altre ipotesi fatte circolare, invece, Regeni sarebbe stato coinvolto nel controspionaggio egiziano;
i tentativi di depistaggio da parte delle autorità egiziane che, in un primo momento, avevano garantito collaborazione, sono stati incredibilmente numerosi. In particolare, si ricorda come gli investigatori italiani ebbero poco tempo per interrogare i pochi testimoni, dopo che gli stessi erano già stati interrogati per ore dalla polizia egiziana. Le riprese video della stazione della metropolitana dove il giovane ricercatore era stato visto per l’ultima volta furono cancellate. Infine, furono negati i tabulati telefonici sia del quartiere dove viveva Regeni, sia della zona in cui fu ritrovato il suo corpo;
dopo che il 10 dicembre 2020 la procura della Repubblica di Roma ha chiuso le indagini preliminari, il 25 maggio 2021 sono stati rinviati a giudizio quattro ufficiali della National Security Agency, il servizio segreto interno egiziano: il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi e il maggiore Magdi Sharif. I reati loro contestati sono il sequestro di persona pluriaggravato, il concorso in lesioni personali gravissime e l’omicidio. A tal riguardo, val la pena evidenziare come non fu possibile contestare tra le diverse accuse il reato di tortura, poiché la nuova fattispecie di reato fu introdotta nell’ordinamento penale italiano solo nel 2017;
in particolare, nel corso dell’udienza preliminare, verificata la regolarità delle notificazioni dell’atto di vocatio in ius, eseguite nei confronti degli imputati ai sensi dell’articolo 159 del codice di procedura penale, che dispone in materia di notificazioni all'imputato in caso di irreperibilità, il giudice ha disposto il procedersi in assenza, sulla base della previgente disciplina dell’articolo 420-bis del citato codice;
successivamente i giudici della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5675 del 15 luglio 2022, depositata il 9 febbraio 2023, hanno affermato l’impossibilità di procedere con il giudizio penale in assenza, risultandone esclusi i presupposti, alla luce della vigenza della nuova disciplina in materia, che ha rafforzato i presupposti dell’istituto prevedendo, quale condizione generale, l’effettiva conoscenza della pendenza del processo;
i quattro ufficiali indagati risultano da sempre irreperibili, poiché la magistratura egiziana non ne ha fornito gli indirizzi di residenza, né ha concesso ai magistrati italiani di essere presenti agli interrogatori degli indagati stessi, nonostante siano stati iscritti nel registro degli indagati nel dicembre 2018 e nonostante le richieste dalla procura di Roma inoltrate già con la rogatoria del 5 maggio 2019;
occorre evidenziare come da ultimo il Tribunale di Roma, Sezione GIP, con ordinanza del 31 maggio 2023, ha rimesso alla Corte costituzionale gli atti del procedimento per i fatti relativi al rapimento e alla morte di Giulio Regeni, accogliendo la richiesta della Procura di Roma di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’articolo 420-bis del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che si possa procedere “in assenza” dell’accusato nei casi in cui la formale mancata conoscenza del procedimento dipenda dalla mancata assistenza giudiziaria da parte dello Stato di appartenenza o di residenza dell’accusato stesso;
nella memoria depositata dalla Procura si afferma “la presunta conoscenza da parte degli imputati del procedimento che si svolge in Italia a loro carico (…) gli apparati investigativi egiziani erano a conoscenza degli sviluppi e dell'esito del procedimento italiano". E, infine, si legge che "gli indagati erano stati ripetutamente invitati, senza che vi fosse alcun seguito, ad eleggere domicilio in Italia";
secondo il Tribunale di Roma che, come già evidenziato, ha accolto la richiesta della Procura, "lo stato egiziano, rifiutando di cooperare con le autorità italiane, sottrae i propri funzionari alla giurisdizione del giudice italiano, creando una situazione di immunità non riconosciuta da alcuna norma dell'ordinamento internazionale. (…) Tale situazione di immunità determina un'inammissibile zona franca di impunità per i cittadini-funzionari egiziani nei confronti dei cittadini italiani che abbiano subito in quel paese dei delitti ";
rilevato, inoltre, che:
l'Alto rappresentante della politica estera dell'Unione, Josep Borrell, ha dichiarato che “Il caso di Giulio Regeni è una questione grave per l'Italia e per l'intera Unione europea. Continuiamo ad esortare l'Egitto a cooperare in pieno con le autorità italiane sulle responsabilità e affinché sia fatta giustizia";
nel dicembre 2020 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione in cui si chiedeva un'indagine indipendente e trasparente su tutte le violazioni dei diritti umani in Egitto, per assicurare che i responsabili siano chiamati a risponderne. In particolare, nel testo si chiede all'Unione europea di esortare le autorità egiziane a collaborare ed a fornire gli indirizzi di residenza dei 4 agenti indagati, come richiesto dalla legge italiana, e si esprime "sostegno politico e umano" alla famiglia Regeni nella ricerca della verità;
considerato, infine, che:
lo scorso 20 luglio il Presidente egiziano Abdel Fatah al-Sisi ha concesso la grazia a Patrick Zaki. La decisione è stata presa dopo la condanna a 3 anni di carcere dello studente egiziano, iscritto all'Università di Bologna, dove si è laureato con 110 e lode lo scorso 5 luglio. La sentenza della corte speciale, che aveva condannato l'attivista per “diffusione di notizie false” per alcuni articoli scritti sui social, non era appellabile;
Patrick Zaki era stato arrestato in Egitto il 7 febbraio 2020 e lungamente detenuto nel carcere drammaticamente noto di Tora. I pubblici ministeri della corte di Mansoura, sua città natale, ne avevano ordinato la detenzione preventiva, contestandogli i reati di "istigazione a proteste e propaganda di terrorismo sul proprio profilo Facebook", ovvero l'aver pubblicato notizie false con l'intento di disturbare la pace sociale, di aver incitato proteste contro l'autorità pubblica, di aver sostenuto il rovesciamento dello stato egiziano usando i social network e di aver istigato alla violenza e al terrorismo;
al momento dell'arresto Zaki stava frequentando un master internazionale in Studi di genere all'università di Bologna ed era attivista presso l'organizzazione non governativa "Egyptian initiative for personal rights", una delle ultime organizzazioni indipendenti per i diritti umani attiva in Egitto;
la Presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, a seguito della liberazione dell’attivista egiziano, ha affermato pubblicamente che: “La questione di Giulio Regeni non è archiviata e continueremo a occuparcene come mi sono sempre occupata della vicenda di Patrick Zaki”,
impegna il Governo ad adoperarsi in sede bilaterale, nonché in tutte le sedi internazionali, affinché il Governo egiziano collabori finalmente con le autorità giudiziarie italiane, consentendo così di poter svolgere il procedimento penale che vede imputati i quattro ufficiali egiziani e giungere finalmente ad una verità processuale che renda giustizia a Giulio Regeni, alla sua famiglia oltre che ad un intero Paese.

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