L’aggressione delle mafie alle risorse del PNRR
Intervento svolto alla Società Umanitaria (video).
È un piacere venire a parlare all’Umanitaria, dove nel programma del corso di “Cultura e formazione politica” è stato inserito un approfondimento su un tema come la lotta alle mafie, su cui è necessario tenere viva l’attenzione e che rischia invece di non essere al centro dell’interesse dell’opinione pubblica.
Questo avviene perché le mafie hanno scelto di agire in modo da suscitare un basso allarme sociale: sparano molto meno, preoccupano il meno possibile le persone, sono insediate anche nel milanese, nel varesotto o nel comasco, ma nei piccoli Comuni dove nessuno le vede e non danno apparentemente fastidio a nessuno.
Noi ci allarmiamo molto di più per gli scippi, i delitti, i reati predatori anche piccoli perché mettono in discussione la nostra sicurezza nell’immediato.
Le mafie, quindi, hanno fatto la scelta di sparare il meno possibile.
Il 23 maggio è l’anniversario della strage di Capaci, in cui è morto Giovanni Falcone ma la mafia ha perso quando, in seguito alla fase delle stragi, c’è stata una reazione popolare straordinaria che ha portato la politica a legiferare e ha messo in campo una straordinaria capacità, sia legislativa che di investigazione e di repressione delle mafie che oggi tutti ci invidiano. Il tutto era anche sostenuto da un grande sostegno popolare.
Le mafie, quindi, hanno capito che non hanno interesse a farsi notare e la cosa che più le preoccupa è che si crei un moto popolare contro di loro e, dunque, hanno deciso di agire usando il meno possibile la violenza per allarmare il meno possibile.
La scarsa attenzione dell’opinione pubblica consente alle mafie di dedicarsi a quella che è la loro principale attività: le mafie cercano di infilarsi ovunque ci sia da guadagnare.
Oggi, il principale problema delle mafie è quello di riuscire a riciclare i tanti miliardi derivati dal traffico di droga, di esseri umani, di armi e da altre attività illecite.
La scelta delle mafie è quella riciclare e investire i soldi sporchi nell’economia legale.
Questo oggi è il principale problema che abbiamo di fronte.
Il rischio è che, con un allarme sociale basso, non si veda quanto sia pericoloso per la democrazia il fatto che ci siano organizzazioni criminali che investono miliardi nell’economia legale e che poi condizionano l’economia legale.
Questo è un punto fondamentale.
Tutto questo, però, non è solo un processo che avviene a livello nazionale.
Purtroppo le mafie sono coloro che hanno interpretato meglio la globalizzazione.
Le mafie investono in tutto il mondo e, soprattutto, investono dove la legislazione è più favorevole.
In Europa sono pochissimi i Paesi in cui esiste una legge come la nostra che prevede la confisca preventiva dei beni alle mafie, prima che arrivi la sentenza definitiva di condanna.
La Legge Rognoni-La Torre, infatti, mira a colpire le mafie dove fa loro più male e cioè ai patrimoni, confiscando i beni subito ai mafiosi e mettendoli a disposizione della collettività per utilizzi che riguardano l’interesse pubblico, con l’idea di restituire alla società ciò che la mafia ha tolto con il malaffare.
Questa Legislazione c’è in Italia e in pochissimi altri Paesi e, dunque, se le mafie vogliono investire in case e altri beni lo fanno cercando luoghi, come la Slovenia, in cui queste norme non valgono.
Il Canada, ad esempio, era un Paese in cui il livello di controllo sui finanziamenti era bassissimo.
C’era una filiale della Banca del Canada alle Isole Cayman, che è un paradiso fiscale, e chi versava lì, poteva farlo senza alcun controllo sulla quantità o la provenienza dei soldi e poi ritirare il tutto a Toronto.
Il Canada, inoltre, è stato un caso particolare perché è stato anche l’unico Paese che, durante la crisi economica mondiale del 2008, ha ricostruito intere città mentre altrove non si riusciva a costruire nulla.
Anche la battaglia contro il riciclaggio, quindi, si può fare a livello nazionale ma diventa efficace solo se la si fa a livello globale.
Per questo, in seguito ad un convegno che ho organizzato a Roma, ho presentato una mozione in Senato, insieme ai colleghi del gruppo PD, per chiedere che la nuova agenzia contro il riciclaggio - che finalmente l’Unione Europea farà per coordinare l’attività di antiriciclaggio in tutta Europa, cioè controllare i finanziamenti - venga fatta in Italia. Inoltre, dobbiamo chiedere che venga fatta a Milano perché, dal punto di vista della lotta al riciclaggio, il Comune di Milano ha fatto un lavoro straordinario, ha un know how e una serie di pratiche positive consolidate molto importanti.
Questo è il contesto in cui ragioniamo su questi temi.
Le mafie, dunque, sono un fenomeno globale e di un’organizzazione che conta sulla disattenzione e sul basso allarme sociale per allargarsi e condizionare la nostra economia legale e, quindi, la nostra democrazia.
Le mafie durante la pandemia hanno continuato a lavorare, incrementando alcune delle attività che già stavano facendo.
Diverse inchieste hanno messo in luce che, soprattutto al Nord, in questi anni le mafie si sono proposte per offrire servizi alle aziende, come il prestito, il recupero crediti, la possibilità in qualche Comune di avere più facilmente un cambio di destinazione d’uso. Questo è avvenuto già dalla crisi del 2008 e, in generale, quando ci sono crisi economiche, le mafie lavorano di più.
Molti imprenditori, come denuncia la Direzione Antimafia di Milano, hanno accettato i servizi delle mafie ed è stata la loro fine, perché quando entra in casa la ‘ndrangheta difficilmente poi si riesce a restituire il prestito e si sistemano le cose. Quasi sempre, alla fine, la mafia si appropria delle attività e delle aziende oppure le svuota e le fa fallire.
Ci sono aziende che hanno la possibilità di avere appalti e subappalti e le mafie, in questo, hanno una grande capacità di mettere in campo aziende satelliti che forniscono lavoro a basso costo, ignorando molte regole, che servono per lucrare, per avere ancora più soldi e un po’ anche per dare lavoro in giro e con questo costruirsi consenso sociale.
Nel Meridione ci sono luoghi in cui trovare lavoro è impossibile e trovare l’azienda che porta al Nord un po’ di persone per farle lavorare, anche in condizioni negative, crea comunque consenso sociale.
Un altro settore di riciclaggio importante che interessa la mafia e che dà consenso sociale è la Sanità.
Lavorare nel mondo della Sanità dà credibilità e prestigio sociale perché ci si occupa della salute delle persone. Essere fornitore di ALS, ospedali o gestirne i servizi, quindi, può aiutare.
Durante la pandemia le mafie hanno agito di più in questi settori perché la crisi ha messo in difficoltà moltissime aziende, che avevano bisogno di servizi e di soldi e le mafie se ne sono occupate.
Inoltre, durante le crisi, le mafie hanno la possibilità di acquisire negozi, immobili a prezzo più basso dal momento che il mercato è fermo e c’è la necessità di avere denaro, che loro hanno.
Al Sud le mafie hanno provato a creare un welfare alternativo, che grazie all’azione del Governo siamo riusciti a limitare.
All’inizio della pandemia, in particolare la camorra nel napoletano e la mafia siciliana hanno provato a costruire una sorta di welfare parallelo per far fronte alle necessità delle famiglie distribuendo pasti e simili. Fortunatamente l’iniziativa del Governo e diverse leggi fatte ha molto ridotto questo.
Le mafie sono comunque dove ci sono i soldi, quindi, si sono interessate anche al business di mascherine, tamponi e altro.
Le mafie non agiscono con la lupara e la coppola ma con i colletti bianchi, che sono messi nelle condizioni di poter avere una gran quantità di denaro a disposizione.
Sulla vicenda del riciclaggio si costituirà l’agenzia europea e si è fatto un lavoro molto serio in questi anni di rafforzamento delle reti, degli archivi e della messa in comunicazione delle banche dati.
Il lavoro che occorre fare è quello di capire se chi compra i negozi o le attività ha avuto quei soldi dal suo lavoro, li aveva in banca, sono risparmi o derivavano da altro; capire se i soci di una società che si propone di partecipare ad un progetto per il PNRR è formata da persone che non abbiano un retaggio che riporta alla criminalità organizzata. Sulle aziende che hanno un appalto per la movimentazione terra in un cantiere, si deve andare a guardare che mezzi vengono utilizzati e che persone lavorano e verificare che non siano riconducibili a società precedentemente interdette per mafia (come stabilivano i protocolli fatti per Expo).
Altre occasioni per le mafie rischiavano di essere i cantieri aperti per il superbonus.
Serve, dunque, verificare i capitali, gli strumenti, i mezzi e i componenti delle società. Questo va fatto e lo stiamo facendo sempre meglio, costruendo banche dati capaci di comunicare tra loro.
Questo ci consente di combattere il riciclaggio.
Questo lo si fa, quindi, con le banche dati, mettendo in campo un’agenzia europea e responsabilizzando delle figure chiare. I notai, ad esempio, hanno una funzione importantissima perché se quel lavoro di verifica dei capitali lo fanno seriamente sono in grado di mandare alert agli investigatori, quando vedono anomalie. Lo stesso vale per le banche, che in Italia e anche altrove sono tenute a verificare e segnalare le anomalie che vedono nelle transizioni.
Questo è un lavoro invasivo ma necessario; lo stiamo migliorando dal punto di vista legislativo e questa è la strada per combattere il riciclaggio.
Il tema delle banche dati è la prima cosa su cui abbiamo messo mano quando ci siamo posti il problema di come fare in modo che non finissero alle mafie gli appalti del PNRR per spendere i 240 miliardi che l’Europa ci ha messo a disposizione.
Il punto è come trovare un equilibrio complicato che consenta di tenere alta la barriera contro le mafie e contemporaneamente la velocità, perché le risorse per il PNRR vanno spese entro il 2026.
Bisogna, quindi, fare controlli bene senza allungare i tempi.
Qualcuno, in questi anni, ha proposto di abbassare le misure di controllo e di togliere le interdittive antimafia per velocizzare le opere.
Il lavoro fatto dal Comune di Milano dimostra che si possono fare bene i controlli, lavorare bene nelle centrali appaltanti, dove ci sono persone qualificate e competenti, e fare in fretta, garantendo la legalità degli appalti.
In Italia c’è un problema generale delle centrali appaltanti. Milano ha una centrale appaltante per l’edilizia e una per i servizi sociali mentre ci sono Comuni piccolissimi che hanno le loro centrali composte da uno o due impiegati comunali e questo non funziona perché non c’è neanche la competenza per gestirle.
Da tempo ci battiamo per chiedere che venga fatta una centrale appaltante per ogni provincia, dotata di personale qualificato, perché questo è l’altro modo di fare la lotta alle mafie: sapere quali strumenti usano e avere persone qualificate per gestire gli appalti.
Queste sono le cose principali che stiamo facendo per evitare le infiltrazioni mafiose nel PNRR e nelle grandi opere.
A Milano abbiamo l’esperienza di Expo, il modo in cui si è costruito un sistema per contrastare le infiltrazioni mafiose in Expo è stato molto efficace ed è stato poi ripreso per il Giubileo a Roma e credo che sarà ripreso anche per le Olimpiadi.
A livello normativo e pratico queste sono le cose da fare.
Questo è un Paese che ha una straordinaria esperienza e una grande capacità di contrasto alle mafie. Abbiamo una Direzione Nazionale Antimafia che funziona, in cui c’è un patrimonio di conoscenze straordinario. Abbiamo sul territorio magistrati che lavorano per cercare di capire come la mafia cerca di superare i controlli e le misure interdittive che mettiamo in campo.
Dobbiamo sapere che questa rincorsa alla fine la può vincere lo Stato ma serve attenzione da parte di tutti, imprese, istituzioni, ordini professionali, cittadini.
Se nel quartiere cambiano di proprietà diversi negozi che restano vuoti perché non ci va nessuno e non sono sostenibili economicamente vuole dire che c’è qualcosa che non va; bisogna dunque prestare attenzione a quanto avviene.