Il carcere sia luogo di cambiamento
Intervento svolto alla presentazione del film “Ariaferma” a Milano (video).
È la seconda volta che vedo il film “Ariaferma” e credo che sia molto bello.
Siamo in un Paese in cui, fino a pochi mesi fa, qualunque problema sociale veniva risolto dicendo che bisognava mettere le persone in galera e buttare via le chiavi.
Questo indica, innanzitutto, che il carcere non è un luogo di cambiamento o di reinserimento ma è luogo di disperazione, dove si deve espiare la pena e basta e che i problemi sociali si risolvono in questo modo.
Secondariamente, così facendo, si dice che il carcere è l’unica risposta di fronte ai reati.
Oggi, anche con la Ministra Cartabia, mi pare che stiamo provando ad affermare un’altra idea.
La riforma del processo penale che abbiamo approvato è stata molto discussa ma, almeno su un punto, devo dire che è positiva, in quanto c’è definitivamente la presa d’atto del fatto che il carcere non è l’unica soluzione, per cui quando una persona compie un reato ci sono anche le pene alternative o la messa alla prova, la giustizia riparativa e molte altre cose che si possono fare. Il carcere, quindi, deve essere l’estrema ratio.
Io penso che questo percorso vada aiutato, anche culturalmente e un film come “Ariaferma” aiuta.
A me questo film è piaciuto molto perché racconta che il carcere può essere luogo di violenza, di riproduzione di violenza, che produce recidività, oppure può essere una grande occasione di cambiamento, perché lì dentro c’è un’umanità straordinaria.
Il punto è come si riesce a costruire il processo virtuoso e a impedire il processo negativo o anche il rapporto difficile, che spesso una certa politica tende ad amplificare.
Sul nuovo capo del DAP, ad esempio, abbiamo assistito per giorni ad una discussione assurda in cui c’era chi sosteneva che alcuni stavano con gli agenti della polizia penitenziaria e altri stavano con i detenuti, come se ci fosse un conflitto permanente e non ci fosse, invece, la necessità di costruire un carcere migliore, sia per chi ci lavora sia per chi ci sta dentro.
Un’ultima questione che a mio avviso è prioritaria, la si evidenzia nel film nel momento prima che Silvio Orlando inizi a cucinare e, discutendo con le guardie, dice quello che è stata anche la storia di questi due anni di pandemia: i detenuti sono rimasti senza lavoro, senza possibilità formative, senza visite delle famiglie. Questi sono stati due anni molto duri e molto difficili per chi è stato in carcere.
Quello che abbiamo fatto per bilanciare questa situazione è insufficiente. Credo, quindi, che a quei detenuti vada riconosciuto il sacrificio che hanno fatto e, dunque, l’idea di anticipare il fine pena, aumentando gli sconti per la buona condotta per questi anni, è una cosa per cui ci stiamo battendo e alla fine penso che riusciremo a farla perché è anche giusto dare un risarcimento ai detenuti.