Carcere: i fatti di Santa Maria Capua Vetere
Intervento svolto ad una videoconferenza organizzata dal PD del Giambellino.
Credo che sia molto importante discutere di queste questioni, anche se purtroppo ce ne occupiamo soltanto di fronte a eventi drammatici o luttuosi.
Io penso che la politica si debba occupare del carcere.
Se la politica, le amministrazioni, i quartieri, i territori si occupano di carcere si creano più facilmente gli anticorpi per evitare le violenze, che con la vicenda di Santa Maria Capua Vetere sono apparse tanto intollerabili quanto sorprendenti per che non conosce il mondo del carcere ma che, invece, purtroppo sono frequenti all’interno delle carceri.
Nelle carceri, infatti, c’è un clima di violenza e di tensione di cui sono vittime tutti, i detenuti ma anche gli agenti di polizia penitenziaria e anche chi sta in carcere a svolgere un lavoro di trattamento e di direzione.
Abbiamo presentato una mozione, che ho illustrato in Senato quando è venuta la Ministra Cartabia a relazionare sulla violenze di Santa Maria Capua Vetere, con cui abbiamo chiesto l’istituzione di una Commissione di Inchiesta specifica sulle violenze nelle carceri, che non solo quelle avvenute a Santa Maria Capua Vetere, come indicano le statistiche che sono state recentemente diffuse anche dalla Gabanelli in cui sono riportati dati delle violenze diffuse ai danni degli agenti di custodia all’interno delle carceri e molti altri episodi.
Recentemente ci sono stati 25 rinvii a giudizio per le violenze subite dai detenuti nel carcere di Torino, sono ancora aperte le inchieste su ciò che è successo a Roma nel periodo delle rivolte, sia a carico dei detenuti rivoltosi ma anche per capire cos’è successo durante quelle rivolte e come sia stato possibile che siano morte 13 persone di cui 8 a Modena o provenienti dal carcere di Modena.
C’è, quindi, una riflessione da fare che credo sia molto importante e deve essere innanzitutto sulle ragioni per cui il carcere diventa troppo spesso un generatore di violenza anziché essere il luogo della rieducazione e della riabilitazione, della riscoperta di sé stessi e, quindi, della formazione e del lavoro, di occasioni di socializzazione.
Purtroppo il carcere è stato un luogo vissuto male, particolarmente nell’ultima fase: questo anno e mezzo di pandemia è stato molto pesante all’interno del carcere per tante ragioni. Innanzitutto perché i detenuti sono stati di nuovo rinchiusi nelle celle, non c’è più stata la vigilanza dinamica che consentiva ai detenuti di incontrarsi, vedersi, stare fuori dalle celle. A questo si è aggiunta la difficoltà a incontrare i parenti, i figli. Sicuramente sono servite le iniziative che si sono messe in campo per consentire l’utilizzo di Skype e di strumenti di comunicazione moderni che hanno supplito all’impossibilità di incontri diretti.
Quando è cominciata la pandemia avevamo appena approvato una misura nata sulla base di un incontro con i detenuti della Nave di San Vittore. Avevamo proposto di consentire ai detenuti che hanno figli minorenni di fare loro una telefonata al giorno e non solo una alla settimana proprio per avere un rapporto più costante e non rinunciare a molti dei momenti di condivisione con i figli. Questi sono interventi importanti che dopo il covid non dobbiamo dimenticare.
Sicuramente, però, il covid ha creato una tensione nel carcere data anche dalla noia, dal fatto che per un lungo periodo non si è più potuto lavorare, non ci sono più stati momenti pedagogici, di formazione e quindi si è creato un clima pesante che è andato a sommarsi ad altre questioni purtroppo patologiche come il sovraffollamento delle carceri, l’insufficienza dei momenti di trattamento, di lavoro, di studio, di riabilitazione e rieducazione.
Questo ha pesato sulle condizioni generali del carcere, sia quelle dei detenuti, che sono i soggetti più deboli, sia quelle degli agenti.
Tutto questo è legato anche a una patologica mancanza di personale che si occupa dei detenuti, sia della sicurezza che dell’educazione, del lavoro e del trattamento.
Questa è diventata sicuramente una miscela esplosiva che ha prodotto il clima che poi ha originato vicende come quella di Santa Maria Capua Vetere, che sono orrende e mostrano uno Stato che come minimo applica “legge dell’occhio per occhio”, vendicativo, violento, che utilizza la sua superiorità per infierire su persone che in quella fase erano indifese.
La Commissione dovrà anche fare chiarezza su quei fatti e accertare le responsabilità. Questo lo dovrà fare anche la Commissione istituita dal Ministero, lo dovranno fare i processi. Giustizia va assolutamente fatta.
Bisogna anche intervenire, però, per superare quei problemi patologici che vive il nostro sistema penitenziario di cui ho accennato e per questo abbiamo presentato diverse proposte. Intanto bisogna ridurre il carcere come unica soluzione di pena possibile per chi commette reati.
La riforma del processo penale di cui si sta parlando in questo periodo, evidenziando in particolare tutti i temi che alimentano la polemica politica, comunque fa passi avanti rispetto ad alcune questioni come i riti alternativi, le misure alternative, le pene risarcitorie, l’implementazione delle contravvenzioni per punire reati bagatellari. Serve mettere in campo una serie di scelte operative che riducano la necessità del carcere come unica soluzione per punire chi commette reati.
C’è poi un tema che riguarda il carcere e la sua funzione che deve essere quella rieducativa. Per questo, bisogna mettere mano alle strutture del carcere. Con il PNRR si finanzieranno alcuni interventi importanti per ampliare gli spazi in 8 carceri italiane, non solo per aumentare il numero delle celle ma principalmente per aumentare gli spazi per il trattamento, quindi l’educazione, la scuola, il lavoro. Questa è una cosa importante, che abbiamo voluto fortemente e che ha sostenuto fortemente l’allora sottosegretario Giorgis e ora la Ministra Cartabia ci sta lavorando.
Questo è un altro percorso importante, poi c’è un problema che riguarda il personale, gli assistenti sociali e chi svolge funzioni rieducative o psicopedagogiche.
Penso che sia importante anche realizzare l’idea in cui dentro al carcere ci siano i volontari, tanti progetti belli e importanti come quelli attivi nelle realtà milanesi, come quelli che colgono l’aspetto degli affetti e dell’intervenire sulla famiglia per proteggere i bambini, e poi servono operatori.
Il carcere come quartiere della città è un percorso che è stato realizzato nel corso del tempo, anche recentemente è stata fatta una mostra all’Umanitaria su questo e adesso c’è una mostra fotografica che ha trovato la sua collocazione permanente dentro a San Vittore. Questa mostra è stata sempre associata ad una serie di interviste fatte dentro e fuori dal carcere tra carcerati, operatori della giustizia ma anche a persone che vivono nei quartieri da dove più di frequente provengono i detenuti.
Si tratta di una cosa molto importante.
Quando penso a misure per impedire il ripetersi di vicende come quella di Santa Maria Capua Vetere penso che un rapporto più stretto di vicinanza, di attenzione del territorio in cui sono collocate le carceri e la vita delle carceri sarebbe molto importante perché può aiutare a far sentire chi sta in carcere parte di una città e di un territorio ma può anche fare in modo che chi sta in carcere sappia di un mondo più grande che non è indifferente, che è vicino, guarda, aiuta e controlla.
Trovo gravissimo ciò che è successo a Santa Maria Capua Vetere e trovo gravissimo ogni volta che un tutore dell’ordine e un agente di polizia penitenziaria abusa del suo potere. Purtroppo succede.
Trovo anche insopportabile l’omertà che troppo spesso si instaura tra gli agenti.
Credo che chi ha commesso quelle violenze a Santa Maria Capua Vetere abbia infangato tantissimi agenti di polizia penitenziaria che fanno il loro lavoro al meglio e che forse oggi ancora di più sono esposti ad aggressioni e a violenze nelle carceri.
Le responsabilità vanno guardate di volta in volta.
Gli agenti e i detenuti vivono nello stesso posto e con lo stesso disagio tantissima parte della loro esistenza. Gli agenti poi escono dal carcere ma dentro al carcere vivono le stesse carenze e gli stessi problemi dei detenuti.
Conosco bene il carcere di Santa Maria Capua Vetere perché ho frequentato la realtà casertana per qualche anno ed è un luogo in cui non c’è neanche l’acqua corrente ma viene portata con le autobotti, ci sono condizioni davvero compliate, è caldissimo quando fa caldo e gelido quando fa freddo, spesso viene a mancare l’acqua, le condizioni igieniche sono scarse. Questa realtà la vivono sia i detenuti che gli agenti, poi però gli agenti sono lì a rappresentare lo Stato e la legalità e non possono abusare di questo ruolo.
Continuo a pensare che la situazione nelle carceri sia difficile per tutti e si è trascurato questo tema troppo a lungo.
Oggi abbiamo moltissime carceri in cui i direttori sono in prestito e dirigono più carceri insieme perché non ci sono state assunzioni di personale.
La situazione nelle carceri, quindi, è molto difficile per tutti e per questo dobbiamo fare in fretta.
Un punto fondamentale è capire come si riparte dopo il covid.
Io credo che si debba ripartire facendo tesoro anche di alcune pratiche positive che sono state messe in campo durante la pandemia, a partire dalla possibilità di comunicare con più frequenza con l’esterno utilizzando Skype.
Credo che ci siano da ripristinare cose come la vigilanza dinamica, quindi, le celle vanno riaperte.
Credo poi che alcune pratiche vadano mantenute. Durante il covid abbiamo fatto due decreti per cercare di attenuare la pressione della sovrappopolazione nelle carceri. In un decreto si è previsto che i detenuti in semilibertà, cioè che escono per andare a lavorare e la sera devono rientrare, avrebbero potuto restare fuori per evitare che diventassero veicoli di contagio. Ci sono ora quasi 1000 detenuti che da più di un anno stanno fuori e questo non ha creato problemi né di sicurezza né di recrudescenze.
Incrociando questo con il tema delle pene alternative, forse questa è un’esperienza che non chiuderei. Così come non chiuderei l’esperienza degli arresti domiciliari prolungati a fine pena. Allo stesso modo non cediamo su una proposta che abbiamo fatto, cioè il dire che i detenuti sono stati in carcere in questi 2 anni senza contatti e in condizioni difficili e l’idea di riconoscere un premio maggiore a chi ha avuto buona condotta può essere una scelta intelligente. Le norme vigenti prevedono che, ogni sei mesi, se un detenuto si è comportato bene in carcere, possa avere 45 giorni di sconto di pena; noi siamo per portare lo sconto a 60 giorni. Questo potrebbe essere un altro messaggio di comprensione rispetto alla situazione difficile in cui ci si è trovati.
Un’altra questione che mette in difficoltà la qualità della vita di tutti nel carcere è l’enorme presenza di persone con problemi psichici e psichiatrici. Questo crea problemi a tutti.
Sicuramente il modo in cui vengono affrontati i problemi psichiatrici in carcere va completamente rivisto perché condiziona tutta la vita del carcere e non dà soluzioni alle persone che soffrono.
C’è un’assenza di cura e un’inflazione di forniture di medicinali finalizzati a tranquillizzare le persone. Questo, quindi, è un problema molto grande che crea molti problemi dentro al carcere.
In teoria la formazione della polizia penitenziaria viene fatta, poi però l’esperienza sul campo è molto dura.
Ho conosciuto molti giovani agenti che svolgono il loro lavoro con dedizione e sono molto formati.
Il DAP si è posto il tema della formazione e stanno vagliando diversi progetti di formazione anche per gli agenti già operativi da tempo.
In questi anni ho sempre difeso il carcere di San Vittore perché credo che il carcere dentro la città sia utile e importante perché davvero vuol dire che la città non si dimentica del carcere e viceversa.
Non tutte le carceri sono uguali.
Opera e Bollate sono più moderne, pensate con spazi maggiori sia per lo svago che per il lavoro e lo studio ma hanno funzioni diverse da San Vittore, perché sono carceri in cui si va ad espiare la pena una volta che si è condannati mentre a San Vittore ci sono i detenuti in attesa di giudizio che si fermano solo per un periodo determinato e diventa anche più complicato svolgere una funzione rieducativa di lungo periodo perché anche quando i detenuti vengono condannati vengono comunque trasferiti.
Ad Opera, inoltre, ci sono i condannati in regime di 41bis e alta sicurezza che comportano misure particolari per spazi e vigilanza: richiedono molto personale e molti spazi perché i detenuti non devono entrare in relazione tra loro.
San Vittore è un luogo più promiscuo ma in cui si incontra più umanità.
Penso che ai detenuti bisogna garantire i diritti, però sono anche persone che hanno compiuto dei reati e vengono puniti. Ci possono essere punizioni diverse o luoghi diversi, come la Nave di San Vittore, in cui ci sono detenuti che sono lì per reati di droga ma sono anche tossicodipendenti e necessitano anche di un percorso riabilitativo specifico ed è un reparto diretto dalla ASL.
Il problema dei detenuti tossicodipendenti si lega al come riuscire a dare risposte ai tanti problemi diversi che ci sono nelle carceri.
È evidente che c’è un pregiudizio sul carcere: c’è l’idea che in carcere ci siano persone di serie B.
In questi giorni stiamo assistendo ad una narrazione per cui un laureato che fa l’assessore può tranquillamente sparare a un’altra persona solo perché è un malato psichiatrico.
C’è poi anche un deficit di conoscenza. Quando si va in carcere e lo si vede, poi si cambia idea e si capisce di cosa si sta parlando e che si sta parlando di persone vere che vivono in una condizione spesso molto pesante. Ad andare in carcere si cambia radicalmente la visione se si ha voglia di accettare quello che si è visto.