Recovery Fund: un'occasione storica di rilancio per l'Italia
Intervento alla videoconferenza organizzata dal PD di Cologno Monzese (video).
Colgo l’occasione di questa iniziativa per ricordare Guglielmo Epifani, che lascia un grande vuoto. Epifani era una persona sobria, gentile, un uomo di grande cultura, che è stato un patrimonio del sindacalismo ma anche della sinistra italiana.
Nonostante fosse una persona schiva, credo che Epifani abbia lasciato il segno in molti aspetti della legislazione sul lavoro del nostro Paese, nel sindacato e in molto nella vita di tanti di noi.
Personalmente, se oggi mi occupo di antimafia è perché Epifani, nella scorsa Legislatura, quando era ancora Segretario del PD, mi chiese di fare il Capogruppo del partito nella Commissione Bicamerale Antimafia; mi diede fiducia e di questo gli sarò sempre riconoscente.
Di Epifani si è parlato poco in questi anni, anche del ruolo che ha avuto prima nel sindacato e poi nel PD, in quella sua breve gestione.
Al governo del Partito Democratico credo che Epifani abbia avuto il merito di tenere insieme e di gestire bene un congresso che nasceva dopo i traumi dei 101 e di quella elezione drammatica del Presidente della Repubblica, le dimissioni di Bersani e il grande distacco che in quelle giornate si registrava tra il nostro popolo e il lavoro che facevamo in Parlamento.
Credo che dovremo riflettere sul ruolo che Epifani ha avuto in questi anni importanti.
Il tema del Recovery Fund è molto complesso e ancora non è tutto scritto. Il PNRR si sta cominciando a definire: su alcuni punti e alcune priorità siamo più avanti mentre altre cose si dovranno definire meglio nei prossimi mesi.
Il Recovery Fund è una straordinaria opportunità: vuol dire, infatti, 230 miliardi, comprendendo anche le risorse stanziate attingendo al Bilancio dello Stato per finanziare i progetti, che devono far ripartire il Paese e devono farlo cambiando e superando i problemi patologici che il Paese ha avuto e che hanno segnato gli ultimi decenni e che non ci hanno consentito di crescere quanto gli altri Paesi più avanzati del G7.
Il Recovery Fund, quindi, deve essere anche una grande opportunità per provare a migliorare la vita degli italiani, affrontare alcune grandi questioni sociali e ridurre le diseguaglianze che la pandemia ha ampliato.
Questa è la ragione per cui deve esserci chiaro che le risorse che arriveranno, non potremo spenderle come vogliamo ma saranno finalizzate a degli obiettivi: far ripartire il Paese e fare le riforme.
In questi giorni, stiamo discutendo molto sulle riforme della Giustizia.
Purtroppo, la discussione ha preso una piega che guarda più al passato che non a ciò che dobbiamo fare. Adesso, infatti, non è il momento di riproporre un conflitto ideologico che ci ha impedito negli ultimi 30 anni di fare qualunque riforma della Giustizia ma occorre dare risposte ai cittadini e alle aziende, come ci chiede anche l’Europa.
Serve una Giustizia Civile più rapida e più funzionale, che porti a termine le cause in tempi brevi.
Serve un processo penale più giusto, in cui le fasi siano chiare e che si concluda in tempi rapidi.
Serve anche una riforma del processo tributario.
Un’altra grande riforma di cui abbiamo iniziato il percorso è quella fiscale e abbiamo bisogno di una riforma che guardi davvero al rispetto della Costituzione, cioè alla necessità di una tassazione progressiva, in cui chi ha di più metta di più.
Da questo punto di vista, proprio per riuscire anche a ridurre le diseguaglianze, serva una grande operazione per una riforma fiscale che crei giustizia, senza penalizzare nessuno.
La proposta del Segretario Letta per una tassa di successione sui grandi patrimoni volta a finanziare progetti che riguardano i giovani, è evocativa e dà il senso di ciò che dobbiamo fare.
Un’altra cosa esplicita nel PNRR e che ha chiesto l’Europa è il proseguire e il rafforzare la lotta all’evasione fiscale, che è un altro dei grandi problemi del nostro Paese.
Accanto a questo, un’altra grande riforma necessaria riguarda la Pubblica Amministrazione.
In questi mesi di pandemia ci siamo accorti con grande chiarezza che la nostra Pubblica Amministrazione non funziona, va riformata, resa più semplice ed efficiente, più vicina ai cittadini e meno burocratica.
La riforma della Pubblica Amministrazione, quindi, è essenziale.
Abbiamo fatto molte scelte per aiutare le persone e le aziende durante i mesi della pandemia ma ci siamo accorti di avere una Pubblica Amministrazione che non ha saputo mettere a terra le risorse che avevamo stanziato e non è stata in grado di farle arrivare dove avrebbero dovuto in tempi congrui.
Il PNRR si deve portare a compimento entro il 2026: entro il 2023 dovremo appaltare e deliberare tutti i progetti, che andranno realizzati entro il 2026.
Con la nostra Pubblica Amministrazione, com’è ora, è impossibile pensare di riuscire a utilizzare tutte le risorse previste dal PNRR entro il 2026.
Sarebbe, però, un disastro non riuscire a utilizzare il Recovery Fund e, quindi, la riforma della Pubblica Amministrazione è necessaria.
Alcune cose sono già state definite bene e siamo avanti con il lavoro, come sugli investimenti per la Sanità, ad esempio, per rafforzare la sanità territoriale, la telemedicina, la ricerca, la digitalizzazione.
Sulla digitalizzazione, in questi giorni, il Ministro Colao sta dando l’idea di quanto si possa ottenere realizzando una diffusione del digitale in tutto il Paese. Questo vuol dire portare la rete ma vuol dire anche I-Cloud per avere archivi efficienti e funzionali nella Pubblica Amministrazione.
C’è, inoltre, il tema delle infrastrutture.
In queste settimane sono già stati fatti due decreti che hanno dato il via, finanziato e messo nelle condizioni di partire moltissime infrastrutture importanti; sono state definite le figure dei Commissari che potranno garantire di compiere queste opere in tempi rapidi.
Su questo, dunque, abbiamo fatto già alcuni passi avanti.
Così come abbiamo fatto passi avanti sulla questione della governance, che è accentrata sulla Presidenza del Consiglio e sul Ministero dell’Economia, a cui si aggiungeranno altri di volta in volta, a seconda dei progetti da portare avanti. Un altro tema è quello delle assunzioni, su cui occorre fare un po’ di chiarezza: con le risorse del Recovery Fund non sono consentite assunzioni a tempo indeterminato ma sono consentite solo assunzioni per il periodo in cui si deve realizzare il PNRR. Questo si traduce in prevalenza nell’assunzione di 18mila persone che dovranno andare a rafforzare l’Ufficio del Processo e affiancare i magistrati per fare in modo di esaurire tutti gli arretrati, che in molti uffici giudiziari sono anche tantissimi e risalenti a molti anni fa, e aiutare i giudici a condurre le inchieste e i processi.
Sempre nell’ambito della Giustizia, ci saranno anche assunzioni di personale che deve contribuire all’organizzazione delle sedi giudiziarie (dall’edilizia alla digitalizzazione). Questo è importante perché, per riprendere molte esperienze fatte durante la pandemia con la rete, sia per il deposito degli atti, sia per la discussione di diverse pratiche giudiziarie, serve una digitalizzazione che funzioni e la pandemia ha dimostrato che in molte sedi processuali non funziona.
Si prevedono poi altre assunzioni in altri ambiti della Pubblica Amministrazione ma il grosso riguarda la Giustizia.
Auspico che si possa assumere personale anche per qualificare le centrali appaltanti, perché questo è il modo vero per riuscire a fare in fretta le opere mentre non c’entra il Codice degli Appalti.
Per fare velocemente le opere, infatti, serve avere poche centrali appaltanti - e quelle che si occuperanno dei progetti da finanziare con il Recovery Fund saranno appositamente dedicate a questo - con personale specializzato e competente che consenta di fare tutto ciò che è necessario in fretta e bene.
Siamo avanti anche rispetto al tema delle semplificazioni. Nella sostanza siamo riusciti a evitare che le semplificazioni diventassero, come voleva Salvini, una cancellazione delle regole e, soprattutto, delle tutele di legalità; abbiamo prorogato tutte le norme che erano già contenute nel Decreto Semplificazioni dello scorso settembre che, oggettivamente, accelera le opere soprattutto dal punto di vista dell’edilizia e prevede il commissariamento delle opere infrastrutturali, garantendo corsie preferenziali.
Una cosa su cui siamo indietro rispetto ai progetti e su cui dobbiamo fare di più, purtroppo, è la transizione ecologica. Pare che ci siano problemi di costruzione di quel Ministero; ci sono difficoltà a partire su un settore che è centrale per noi.
È pur vero che quell’ambito ne comprende anche molti altri: ad esempio, molte questioni riguardanti la digitalizzazione stanno anche dentro a quel ragionamento, così come c’è il superbonus del 110% per l’efficientamento energetico e altri interventi e verrà prorogato fino al dicembre del 2023. Sul resto, in particolare sul terreno energetico, stiamo ancora vivendo un po’ di rendita del buon lavoro fatto in precedenza, così come sull’economia circolare mentre non ci sono ancora in campo progetti che abbiano la forza che serve.
Il senso del processo del Recovery Fund, quindi, va costruito passo passo e verificato passo per passo. Tutto il lavoro che faremo, infatti, sarà oggetto del vaglio periodico da parte dell’Europa, per controllare il modo in cui verranno spese le risorse rese disponibili.
La partita del Recovery Fund è molto complessa e molto importante: è un’opportunità per cambiare il Paese e per le prossime generazioni, per costruire un Paese che decida una vocazione culturale, turistica, sulla ricerca e altre cose ma che superi i problemi patologici vissuti in questi anni.
Inoltre credo che - se l’esperienza del Recovery Fund, a prescindere dalla pandemia - nel 2026 dimostrerà che l’Europa grazie a questi fondi è stata capace di crescere e ottenere risultati importanti, si possa fare un altro grande piano di investimenti per rafforzare ancora di più l’economia e la società dei Paesi europei.
Video del primo intervento»
Francamente aspetterei a porre il tema dei sondaggi. Lavoriamo affinché il prossimo appuntamento elettorale con le amministrative veda il PD e il centrosinistra forti e vincenti: credo che ce ne siano le condizioni e, quindi, terrei questo come obiettivo.
Il PD è il partito della responsabilità e facciamo meno fatica ad esserlo oggi, dato che l’agenda del Governo Draghi è molto simile alla nostra. Ha ragione Enrico Letta, però, quando dice che non possiamo essere la “Protezione Civile”, cioè non possiamo continuare ad essere interpretati come quella forza politica che interviene sempre quando ci sono i problemi ma non ha una propria identità e dimensione politica.
Penso, quindi, che faccia bene il Segretario Letta a insistere per sottolineare alcune proposte che mettiamo in campo e che danno il senso di quale partito e quale Paese vogliamo costruire e alcune cose le abbiamo già fatte e già ottenute dentro a questo Governo.
Si è discusso molto del fatto che fosse opportuno o meno il richiamo alla proposta dell’aumento delle tasse di successione sui grandi patrimoni per aiutare i giovani dei ceti bassi ma io credo che fosse giusta e che sia anche qualificante per un partito che fa della progressività del fisco una delle proprie battaglie principali.
L’esserci schierati per difendere il lavoro e ritardare il più possibile lo sblocco dei licenziamenti, ottenendo poi un risultato parziale, credo che sia un altro tema qualificante, così come lo sono alcune battaglie che stiamo facendo sui diritti civili, dalla legge Zan alla questione dello Ius Soli.
Altre cose sono state fatte, come la battaglia sul Decreto Semplificazioni per evitare che passasse l’idea, cavalcata molto da Salvini e dal centrodestra, che per fare velocemente le infrastrutture bisogna rinunciare alle tutele di legalità o addirittura di sicurezza sul lavoro. Siamo riusciti, quindi, a non far passare l’ipotesi, che c’era nella prima versione del decreto, degli appalti al massimo ribasso e siamo riusciti anche ad evitare i subappalti e a introdurre il concetto delle centrali appaltanti qualificate come strumento per fare bene gli appalti e farli in fretta.
Un’altra cosa importante ottenuta, grazie ad una battaglia nostra, è stata l’introduzione dell’obbligo di fissare una quota importante di giovani e di donne nelle assunzioni per ogni progetto. Su questo tema, già in precedenza, con la Legge di Bilancio, avevamo lavorato per prevedere significativi incentivi fiscali per chi assumeva a tempo indeterminato giovani e donne al Sud.
Questa è un’altra partita che ci qualifica, di cui dobbiamo essere orgogliosi e di cui forse dobbiamo parlare un po’ di più.
Sarà questo Governo ad impostare tutto il lavoro sul Recovery Plan. Tutti i progetti vanno presentati entro il 2023, che è anche la scadenza della Legislatura.
Le risorse del Recovery Fund non sono tutte a fondo perduto: molti sono prestiti che andranno restituiti ma se sapremo spendere i soldi per creare uno sviluppo sostenibile del Paese, penso che quel debito si ripagherà. Sicuramente le future generazioni dovranno fare la loro parte ma la scommessa è che quel debito produca miglioramenti significativi nell’economia, nelle infrastrutture, nella vita sociale del Paese e una miglior capacita di valorizzare complessivamente il Paese.
Il 40% delle risorse del Recovery Fund sono destinate al Sud, a cui si aggiungono altri finanziamenti europei dedicati alle zone più deboli. Si tratta di soldi investiti in progetti infrastrutturali importanti che riguardano la mobilità e il trasporto, l’estensione del sistema ferroviario che in molte realtà del Meridione non consente facili spostamenti e che, invece, potrebbero essere valorizzate o per territori che potrebbero avere un impulso positivo per le loro economie con il miglioramento delle infrastrutture.
È evidente che, come sempre nelle fasi di crisi, le mafie diventano pericolose perché hanno i soldi, non conoscono crisi di liquidità, possono proporsi a tante imprese come finanziatori o fornitori di servizi e, quindi, possono penetrare nell’economia legale in questo modo. Proprio attraverso quelle imprese possono provare a beneficiare delle opportunità che gli appalti per i progetti da realizzare portano con sé.
Le mafie, tuttavia, non sono un problema che riguardano esclusivamente il Sud ma tutto il Paese e molto anche il Nord. I tentativi delle mafie di infiltrarsi nell’economia legale avvengono in prevalenza al Nord, dove l’economia e le imprese funzionano e dove girano i soldi. Qui le mafie si propongono alle imprese offrendo servizi, come mostrano le inchieste, le aggrediscono e inquinano la nostra economia legale con soldi che arrivano da traffici illeciti.
Non pensiamo ad un fenomeno che è circoscritto nelle Regioni del Sud.
Nelle Regioni del Sud, le mafie trovano più spazi per costruire consenso sociale con un welfare parallelo nel momento in cui lo Stato non riesce a garantire sostegno alle famiglie in difficoltà. Questo mi pare che, con il reddito di emergenza, siamo riusciti per ora ad evitarlo.
Le mafie, quindi, non sono un fenomeno del Sud ma sono un fenomeno nazionale e vanno contrastate a questo livello e per farlo bisogna bandire da ogni logica l’idea che mettere in campo misure come le interdittive antimafia o le procedure di verifica della provenienza dei capitali delle imprese sia da a cancellare perché è un appesantimento che fa perdere tempo: questa è la linea di Salvini ma apre spazi enormi alle mafie e, seguendo questa idea, si rischia di fare disastri anche rispetto alla sicurezza e alla gestione delle opere.
In questo periodo c’è il rischio forte che qualcuno cerchi di inquinare una parte importante della legislazione antimafia: viene attaccata la norma sulle interdittive antimafia, e quindi sulle certificazioni antimafia, da molto tempo. Ora, a seguito della vicenda di Brusca, Salvini spiega che bisogna cancellare la legge sui collaboratori di giustizia, come se in questo Paese non avessimo più bisogno di averli per sconfiggere le mafie e assestare colpi duri alle mafie. Tutto questo è preoccupante: quella è una norma che ha consentito ai criminali di avere dei vantaggi ma, in cambio di quei vantaggi, lo Stato ha potuto dare colpi durissimi alle mafie.
Il tema della transizione ecologica, soprattutto sulla questione dell’energia e delle acque, è un tema su cui bisogna accelerare perché siamo in ritardo rispetto ad altre cose.
In Italia c’è già molto di ciò che serve per implementare i processi di transizione ambientale: c’è un’altissima percentuale di utilizzo delle energie rinnovabili; ci sono molti processi favoriti dal superbonus del 110% per l’efficientamento degli edifici e l’abbattimento delle emissioni.
C’è una capacità ancora troppo a macchia di leopardo di gestione dell’economia circolare, in particolare per quanto riguarda la raccolta differenziata dei rifiuti e il riciclo su cui c’è, però, già una base di partenza da implementare.
Su una parte delle questioni energetiche, che riguardano la produzione, il lavoro sulla mobilità, i mezzi pubblici si deve fare di più.
Nell’area di Milano, però, non siamo all’anno zero e con il Recovery Fund si finanziano in maniera significativa il teleriscaldamento, utilizzando la centrale di Cassano d’Adda, che verrà riconvertita e poi c’è un grande investimento per rinnovare tutti i mezzi pubblici di ATM della Città Metropolitana di Milano, andando verso l’elettrico e l’impatto ambientale bassissimo. Questo, unito alla forestazione di una parte significativa della Città Metropolitana, va nella direzione della transizione ecologica.
Manca ancora un disegno rispetto alle questioni energetiche nel Paese.
Il Ministero fa un po’ fatica ma è nuovo e ha bisogno di un po’ di tempo, altrimenti dovremo intervenire ponendo noi le questioni. Noi abbiamo già una base di partenza, grazie al lavoro di Chiara Braga in Segreteria Nazionale del PD e degli Ecologisti Democratici, che può essere messo a disposizione della costruzione di questo pezzo del Recovery Plan in maniera costruttiva.
Video dell’intervento conclusivo»
Video della diretta facebook»