La posizione del PD sui referendum della Giustizia
Intervento all'incontro con il Circolo PD di Novate Milanese.
La posizione del PD sui referendum della Giustizia è molto legata al contesto e alle cose che si stanno facendo anche con il Governo e con la Ministra della Giustizia.
È evidente che la Giustizia nel Paese non funziona o non funziona come dovrebbe. Il dato è legato alle risposte che la Giustizia deve dare ai cittadini.
Troppo spesso in questi anni si fanno discussioni sulla politica e la magistratura messe l’una contro l’altra, come se la politica si dovesse occupare non di come risolvere le questioni per far funzionare meglio la Giustizia. La guerra tra politica e magistratura non ha prodotto nulla in tutti questi anni mentre abbiamo bisogno di risposte concrete ai problemi esistenti.
In Italia i processi civili sono troppi e durano troppo e così è difficile pensare di essere attrattivi per investitori esteri e società straniere, perché di fronte al primo problema si finisce per dover aspettare anni prima di avere una sentenza.
Sono troppo lunghi sia per imputati che per le vittime anche i tempi dei processi penali, a cui aggiungo che sono troppe le questioni che portano a processo: si fa troppo poco per evitare che tutto venga immesso nei circuiti giudiziari.
Inoltre ci sono moltissimi arretrati in molte zone del Paese.
Queste sono le domande dei cittadini a cui serve dare risposta.
Serve una Giustizia giusta, efficace ed efficiente.
I cittadini chiedono questo.
C’è poi un problema di credibilità della Giustizia, che è già minata dalle lungaggini ma che le ultime vicende, con lo scandalo Palamara, hanno alimentato.
La categoria dei magistrati, fino a pochissimi anni fa, aveva la fiducia della stragrande maggioranza dei cittadini mentre ora è diventata una categoria che non ha più quella fiducia.
La credibilità della Giustizia e del sistema giudiziario è fondamentale: se le persone non si fidano della Giustizia non denunciano o pensano di poterla fare franca, a seconda della loro collocazione.
Questo è il punto di partenza.
Il PNRR ha fatto sì che l’Europa abbia obbligato l’Italia a riformare la Giustizia per ottenere i 240 miliardi tra prestiti e soldi a fondo perduto.
Per avere quelle risorse, infatti, il Paese ha dovuto mettere in campo riforme per dimostrare di essere più efficiente.
Da questo punto di vista, la Giustizia andava riformata per ridurre i tempi dei processi civili del 40% e quelli dei processi penali del 30%; c’è bisogno di una riforma dell’ordinamento giudiziario e quindi sulla base di questo, dopo anni di guerra tra magistrati e politica, in questo anno e mezzo abbiamo fatto riforme importanti che stanno già cominciando a dare risposte ai cittadini.
Abbiamo fatto la riforma del processo civile che, nella sostanza, accorcia i tempi dei processi, incentiva (anche economicamente) la soluzione extragiudiziale delle cause attraverso la mediazione o altro.
Abbiamo fatto la riforma del processo penale.
Chi in questi giorni sta dicendo che nel nostro Paese c’è un eccesso di carcerazione preventiva e di utilizzo del carcere per punire i colpevoli, deve sapere che con la riforma si mettono in fila soluzioni diverse rispetto al carcere, a partire dagli arresti domiciliari fino alla giustizia riparativa, alla messa in prova e al risarcimento, che tendono a definire pene e sanzioni senza andare a processo, pur nel rispetto delle leggi e delle vittime.
L’abuso d’ufficio è un reato che colpisce gli amministratori locali in maniera indiscriminata ma nell’ultimo anno abbiamo modificato già due volte in meglio la normativa che regola questo reato, riducendo di molto le casistiche per cui un sindaco può essere indagato.
Un’altra questione riguarda la troppa Giustizia spettacolo e troppi indagati sbattuti in prima pagina, ancora di più se sono politici o persone con ruolo pubblico. In questi mesi, però, questo si è molto ridotto perché è stata approvata una norma sulla presunzione di innocenza, proposta dal PD, che vieta le conferenze stampa ai Pubblici Ministeri senza che ci sia un’autorizzazione motivata da parte dei vertici delle Procure.
Questo era ciò che serviva per dare risposte ai cittadini.
I referendum, invece, servono solo ad alimentare ancora la guerra tra politica e magistratura e a posizionarci ideologicamente ma non risolvono i problemi.
Questi referendum hanno questo segno e rischiavano di rendere più difficili le riforme, che siamo già riusciti a fare.
Ci restano da fare ancora la riforma del processo tributario - e penso che la faremo in fretta - e la riforma dell’ordinamento giudiziario in cui c’è la riforma del CSM, la questione delle porte girevoli, il come si limitano i poteri delle correnti nell’elezione del CSM, come si affronta il tema della separazione delle funzioni.
La separazione delle carriere, invece, richiede una riforma costituzionale che richiede tempo.
I referendum intervengono in questo quadro.
Ci sono due quesiti a cui avevamo detto subito che eravamo contrari.
Un quesito a cui siamo contrari è quello volto ad abrogare la Legge Severino.
La legge di per sé non condanna automaticamente i politici ma interviene in via amministrativa, creando un automatismo per cui se un sindaco viene condannato per un reato contro il patrimonio o per reati più gravi decade e non è più candidabile; lo stesso avviene per i parlamentari.
Questa legge ha un limite che abbiamo verificato in questi anni e riguarda il fatto che i sindaci vengono sospesi anche se condannati solamente in primo grado. Questo è sbagliato e andrebbe cambiato.
Avevamo già depositato da tempo una proposta di legge per cambiare quella parte della Legge Severino, chiedendo che la decadenza dei sindaci avvenisse solo dopo sentenza definitiva ma i partiti promotori dei referendum hanno risposto che, pur condividendo la proposta, essendoci il referendum non l’avrebbero sostenuta in modo da mantenere valido il quesito referendario.
Il quesito referendario, però, va ad abrogare tutta la Legge Severino, per cui toglierebbe l’automatismo secondo cui un condannato per reati gravi o di mafia non si può più candidare.
Questo sarebbe sbagliato e si darebbe anche un segnale sbagliato all’opinione pubblica.
Sicuramente, quando un magistrato emette una sentenza di condanna può sempre porre l’interdizione dai pubblici uffici ma un conto è una legge voluta dal Parlamento che stabilisce l’automatismo e un altro conto che ci si arrivi dopo, in seguito a un giudizio della magistratura.
La Legge Severino, quando fu approvata, diede il messaggio che la politica non si autoproteggeva di fronte alle sentenze di condanna.
Il nostro No, quindi, è legato a questo.
Un altro No che abbiamo annunciato subito riguarda il quesito sulla cancellazione delle misure cautelari per chi commette reati.
Ci sono alcune ragioni per cui un magistrato può chiedere le misure cautelari per chi commette reati, tra cui l’arresto preventivo. Tra le ragioni per cui si prevedono misure cautelari c’è il rischio di inquinamento delle prove, la gravità del reato, la pericolosità sociale, il rischio di fuga dell’indagato, la reiterazione del reato.
Il referendum cancellerebbe la possibilità ai magistrati di usare le misure cautelari (non necessariamente il carcere) per queste ragioni.
Recentemente abbiamo approvato una legge contro lo stalking che dà al magistrato la possibilità di mettere in campo delle misure cautelari (come l’obbligo di firma, il divieto di avvicinamento, l’utilizzo del braccialetto elettronico) per evitare che il reato venga reiterato e per mettere in sicurezza le vittime. Lo stesso vale per i truffatori seriali, chi truffa gli anziani, gli spacciatori anche ad alti livelli e anche colti sul fatto.
Se vincesse il sì a quel quesito referendario non si potrebbero più mettere in campo misure cautelari di alcun tipo.
Passare dalla logica del “mettere dentro e buttare via le chiavi” di fronte a qualunque reato al dire che si può non trattenere nessuno neanche se ha commesso reati di grande pericolosità sociale è una contraddizione.
Anche questo quesito, però, è stato costruito nella logica del dibattito ideologico.
Si voleva dare un segnale per ridurre la carcerazione preventiva, che sarebbe anche giusto ma il quesito toglie la possibilità ai magistrati di mettere in campo qualsiasi misura cautelare, non solo la carcerazione preventiva.
Di fronte a questo, è evidente la nostra contrarietà al quesito e c’è anche la contrarietà di altri partiti che sul resto erano aperti.
In nome di alcuni slogan si rischia di fare danni veri se passa quel referendum.
Come PD abbiamo deciso di votare no anche agli altri tre referendum, dal momento che è stata approvata alla Camera dei Deputati anche la riforma sull’ordinamento giudiziario e CSM, che ora è in discussione in Commissione Giustizia al Senato.
I tre quesiti sono superati dalla riforma Cartabia che noi vogliamo approvare così com’è arrivata.
Abbiamo concesso ai nostri colleghi di maggioranza di fissare al 14 giugno l’Aula per l’approvazione ma la legge risolverebbe il tema della separazione delle funzioni.
È una legge complicata, votata con una maggioranza larga nonostante all’inizio le posizioni dei partiti fossero divergenti.
Rispetto alla separazione delle funzioni si dice che un magistrato, dopo aver vinto il concorso, a seconda della graduatoria viene mandato o a fare il giudicante o il procuratore, e deve decidere entro 10 anni che percorso vuole intraprendere, potendo cambiare una volta soltanto. Questa è la mediazione che è stata trovata.
La Ministra della Giustizia chiedeva che le possibilità del cambio di funzioni fossero due. Non si tratta di una vicenda secondaria, in quanto è utile che un magistrato conosca i diversi aspetti del percorso giurisdizionale.
Inoltre, abbiamo riformato la legge elettorale del CSM e il funzionamento.
Chi fa il disciplinare, ad esempio, può fare solo quello e, per questo, si è aumentato il numero di componenti del CSM; evitando che chi fa il disciplinare faccia anche le nomine per evitare cortocircuiti come quelli emersi.
C’è un quesito referendario che mette in discussione il meccanismo elettorale, stabilendo che non serva raccogliere le firme per candidarsi. Se lo scopo di quel quesito era far mettere mano alla legge elettorale del CSM, è stato fatto, quindi, il referendum non serve.
La nuova legge elettorale del CSM è molto tecnica, comunque prevede che, oltre alle due correnti principali, ci sia spazio anche per altri.
Un’altra proposta che viene sbandierata è il sorteggio ma è anticostituzionale.
L’ultimo quesito è fatto per strizzare l’occhio agli avvocati e chiede di far partecipare gli avvocati con più ruolo e più poteri alla valutazione dei magistrati.
Con la legge Cartabia si è introdotta una norma per cui ogni magistrato deve avere un fascicolo da cui risulta il suo lavoro e i risultati ottenuti, quindi, la possibilità di valutare i magistrati sul merito delle cose che fanno c’è già.
La valutazione è fatta anche con il contributo del Consiglio giudiziario, all’interno del quale sono presenti anche le Camere penali e gli avvocati e, quindi, nella sostanza, il quesito referendario è assorbito. Da qui la nostra posizione.
Ricordo, inoltre, che non sono referendum voluti dai cittadini ma si fanno perché 7 Consigli Regionali di centrodestra li hanno promossi.
Sono referendum inutili, che possono anche essere dannosi.
Dobbiamo smettere di dire ai cittadini che la Giustizia può solo funzionare male in Italia perché le riforme si stanno facendo e qualche risultato comincia a vedersi.
Continuare a fare giaculatorie contro la Giustizia e contro i magistrati, può essere utile per raccogliere un po’ di malcontento e incentivarlo per qualche voto in più ma non è utile al Paese per avere una Giustizia che funzioni meglio.