Abbiamo la responsabilità di rappresentare chi ci ha votato
Intervento svolto ad un incontro di AreaDem.
Era giusto aprire una riflessione tra di noi a partire dal dato elettorale che ci consegna ad una sconfitta. È una sconfitta pesante e ci mette davanti la necessità di una discussione approfondita sul PD, sulla sua natura e sulle sue ragioni.
Questo è lo sforzo che dobbiamo fare.
La lettera del Segretario coglie la necessità di un percorso congressuale che non si fermi alla competizione per la Segreteria ma che, invece, preveda una fase di apertura della discussione che guardi alla rigenerazione e alla rifondazione del PD come tema principale.
Sui giornali si leggono cose che non credo siano accettabili.
Il PD ha perso meno voti di tutte le altre forze politiche di Governo ed è l’unica forza che, rispetto al 2018, ha guadagnato voti in percentuale.
Alcune analisi catastrofiste rischiano di farci perdere di vista il fatto che rappresentiamo un elettore su 5 di quelli che vanno a votare.
La nostra discussione, dunque, non deve nascondere questo dato, anche perché dobbiamo assumerci una responsabilità di fronte a quel 19% di elettori che ci ha votato, dobbiamo rappresentare la loro voce nell’organizzare l’opposizione e per affrontare una discussione che ci porti in questa Legislatura e al congresso a definire il modo in cui investiamo sul futuro il consenso che ci è stato dato ora.
Leggo proposte inaccettabili di scioglimento o simili che partono dal presupposto che il PD non serva più. Ci sono commenti giornalistici, che sono iniziati ben prima del risultato elettorale, con cui è stata teorizzata l’inutilità del PD. Io non credo che sia così ma non lo crede neanche una parte importante del nostro elettorato e da qui dobbiamo ripartire, guardando alle ragioni e alla natura del PD che vogliamo.
Rispetto alla discussione che dovremo fare, voglio segnalare tre punti.
Innanzitutto, a me non convince la lettura secondo cui, siccome abbiamo bisogno di costruire un partito con un forte ancoraggio ideologico e ideale, dobbiamo diventare un partito socialdemocratico.
Penso che in questo Paese ci sia bisogno di un partito di sinistra, che rappresenti la sinistra e che lavori per riunire la sinistra nel Paese.
Il Partito Democratico nasce come partito che vuole far incontrare le diverse culture che guardano al centrosinistra e l’idea di scegliere una opzione abbandonando le altre, rischia di essere divisiva e di indebolire ulteriormente il PD, oltre a perdere uno dei dati originari su cui abbiamo costruito il partito, cioè appunto l’incontro tra le diverse culture del riformismo per costruire un progetto di società.
Penso, inoltre, che tutta questa riflessione vada fatta, anche pensando a ciò che serve al Paese.
Non credo che al Paese serva un partito che affonda le radici nel passato.
Credo che quella sfida di investire sul futuro le diverse culture politiche che contribuiscono a formare il PD sia ancora la sfida più utile per il Paese.
Secondariamente, in questi anni abbiamo fatto una discussione molto ampia sul tema delle alleanze.
È evidente che questo tema c’è ma non può essere un tema che sostituisce la discussione su ciò che siamo e quali sono i temi che vogliamo mettere al centro se vogliamo essere una forza politica nella società italiana.
Noi dobbiamo trarre insegnamento da ciò che è successo e nel nostro congresso dovremmo approfondire questo tema.
Noi abbiamo investito sull’idea del campo largo, dell’alleanza per battere le destre e governare il Paese. Lì dentro ci stavano due idee: l’idea di rappresentare in qualche modo l’eredità del Governo Draghi e dall’altra parte alcune istanze forti, come la lotta alle diseguaglianze, i salari, il lavoro, l’ambiente e i diritti.
Nel momento in cui è venuto a mancare il campo largo, ci siamo trovati - non per caso ma credo per scelta dei nostri ex alleati - con da una parte M5S, che è riuscito a rappresentare tutto ciò che di positivo e di sociale aveva realizzato il Governo Conte Bis e dall’altra parte Calenda e Renzi che hanno capitalizzato il tema del sostegno a Draghi. Noi abbiamo subito un’erosione di consenso da una parte e dall’altra, perché ovviamente l’idea di campo largo era l’idea di unire la sinistra e ci siamo sacrificati in nome di quel tentativo e lo abbiamo scontato nelle urne.
Questa riflessione la terrei aperta nel momento in cui dovremo decidere le alleanze.
Non penso che dobbiamo rinunciare a unire le opposizioni. Penso, anzi, che più il nuovo Governo andrà avanti e più verrà da sé che le opposizioni, pur partendo da posizioni diverse, cerchino l’unità.
Questo ci deve far capire che comunque, dentro al percorso delle alleanze, abbiamo bisogno di definire con più forza il nostro profilo in rapporto ai bisogni concreti del Paese.
C’è poi una terza questione che abbiamo percepito in tanti in campagna elettorale e non è neanche un tema nuovo: agli occhi di tanti cittadini rappresentiamo l’establishment, siamo il partito del sistema, siamo quelli antipatici.
Sicuramente scontiamo l’essere stati una sorta di Protezione Civile del Paese, in nome della responsabilità che ha portato il nostro stare al Governo tanti anni e questo ha generato l’immagine del partito dell’establishment.
In questo momento, vista la condizione economica e sociale del Paese, non era certo una buona posizione.
Nel risultato delle urne paghiamo anche questo e, per evitare di ritrovarci nel futuro a lamentarci di essere vissuti in questo modo, credo che dovremo fare battaglie chiare dall’opposizione, su temi ben definiti.
I temi possono essere quelli su cui abbiamo impostato l’ultima parte della campagna elettorale: lotta alle diseguaglianze, ambiente e diritti; su questi temi occorre caratterizzarci, assumendo posizioni forti e autonome, avendo la forza e il coraggio di metterle in campo senza remore e senza diplomazia.
Penso, poi, che ci sia un’altra questione che ci interessa: c’è un problema del partito, in particolare dell’organizzazione del partito che è fatta male e funziona a macchia di leopardo.
Credo che dobbiamo essere contenti del risultato che abbiamo avuto a Milano, dove abbiamo guadagnato voti rispetto alle elezioni amministrative dello scorso anno, però, è evidente che abbiamo bisogno di ripensare il partito. La crisi di consenso del PD nel Mezzogiorno è molto legata ad un correntismo esasperato, che non è legato alle aree politiche ma ai capibastone e a dinamiche che troppo spesso non hanno niente a che fare con la politica e che prevalgono sulla politica. Qui penso che dobbiamo avere più coraggio.
Inoltre, c’è il tema di come continuiamo a non riuscire a valorizzare le nostre capacità amministrative nel momento in cui c’è il voto politico.
I nostri sindaci valorizzano molto la loro appartenenza al PD e chiedono il coinvolgimento pieno nel lavoro. Ma insieme dobbiamo riflettere sul perché il lavoro che fanno le nostre amministrazioni nel 70% dei Comuni d’Italia poi non si traduce in un consenso alle elezioni politiche anche come mai i voti che portiamo ai nostri sindaci con le liste civiche non li ritroviamo nelle urne quando c’è il voto politico.
Penso, quindi, che il voto del 25 settembre dica molte cose.
Quando dico che siamo stati vissuti come il partito dell’establishment e del sistema e siamo stati puniti, dico una cosa su cui, chi come me ha fondato il PD, deve riflettere. Abbiamo fondato il PD di fronte ad un’evidente crisi di rapporto tra i cittadini e la politica con l’idea di costruire un soggetto nuovo capace di ridurre la distanza tra cittadini e politica, che investisse sulla democrazia e sulla partecipazione ma, purtroppo, questa scommessa fino ad ora l’abbiamo persa e lo mostra anche il risultato dell’affluenza al voto.
Forse questo tema lo abbiamo anche un po’ perso di vista nella nostra politica quotidiana.
Faccio un’informativa sulla vicenda delle elezioni regionali.
Non sappiamo quando saranno le elezioni regionali: si vocifera che il centrodestra cercherà posticipare l’appuntamento per fare un Election Day con le elezioni amministrative a maggio-giugno.
Il PD regionale ha lavorato in questi mesi insieme alle altre forze che stanno all’opposizione per costruire un programma comune.
Penso che nelle prossime settimane dovremo stringere a partire dalla coalizione.
Chi pone oggi il tema delle primarie, però, lo fa non capendo che le primarie non sono di per sé né uno strumento sbagliato né da escludere ma che se le poniamo come priorità, facendo una forzatura, rischiamo di non riuscire a chiudere su una coalizione ampia.
Prima decidiamo la coalizione e poi decidiamo insieme il percorso da fare e il candidato.
Abbiamo una responsabilità molto grande.
In Regione Lombardia abbiamo sempre perso da quando c’è il sistema elettorale maggioritario, anche dopo che c’è stata la fine anticipata della legislatura di Formigoni con lo scioglimento del Consiglio Regionale per mafia.
Oggi potrebbero crearsi alcune condizioni inedite.
Innanzitutto, il voto alle elezioni regionali non sarà in contemporanea a quello politico e, quindi, temi come sanità, casa o altri diventeranno più importanti per determinare il voto.
È molto possibile che il centrodestra non si presenti unito alle elezioni perché la candidatura della Moratti è in campo e non credo che si toglierà mentre la Lega non è intenzionata a sostenerla.
Il dato delle elezioni politiche, inoltre, mostra che la Lega è in grande difficoltà.
Questi fatti nuovi creano le condizioni per pensare di poter vincere davvero le elezioni regionali in Lombardia ma per farlo non dobbiamo sbagliare.
Abbiamo bisogno di mettere in campo la coalizione più ampia e più forte possibile, solo dopo viene il ragionamento sul candidato e le primarie: non dobbiamo invertire i fattori.