Fare chiarezza sulle morti nel carcere di Modena e lavorare per migliorare le condizioni di vita nelle carceri
Interventi svolti al webinar “9 Detenuti morti nel carcere di Sant'Anna un anno dopo” organizzato da Modena Volta Pagina.
Vicende come quelle avvenute nel carcere di Modena non vanno dimenticate né trascurate.
Avevo partecipato già ad un incontro alla Festa dell’Unità a Modena, insieme ai volontari del carcere, per ricordare i 9 morti.
Cerco di non entrare troppo nel merito della questione delle rivolte di quelle giornate che si diffuse simultaneamente in tutto il Paese. Penso, infatti, che non dobbiamo dimenticare che ci sono state delle rivolte e la violenza, comunque, va condannata e perseguita in ogni caso. Non vanno, quindi, giustificate le violenze.
Inoltre, come Commissione Parlamentare Antimafia abbiamo fatto una lunga riflessione per capire se quelle rivolte avevano una matrice che, ovviamente, poggiava su dei dati reali riguardanti un disagio diffuso nelle carceri italiane (che non è risolto), la paura del covid ma anche la paura che il covid portasse ad un isolamento ulteriore senza più la possibilità per i detenuti di comunicare con i parenti. Su questo evidentemente si sono poggiate le rivolte. Su questo ci sono indagini in corso, di cui vedremo i risultati.
Sulla vicenda dei 9 morti di Modena e dei detenuti morti altrove penso che il silenzio o la sottovalutazione di quello che è successo sia stato inaccettabile. Si è molto parlato delle violenze, delle condanne delle violenze; si è parlato anche degli eccessi e delle vittime tra le forze dell’ordine e tra gli agenti di custodia ma le persone morte sono state trattate in maniera assolutamente inaccettabile. C’è stata, quindi, una sottovalutazione del fatto che complessivamente siano morte 13 persone.
In qualunque altro caso e in qualunque altro ambiente, 13 persone che muoiono nello stesso giorno dentro a un comune destino avrebbero scatenato giustamente una riflessione molto ampia che, invece, qui non c’è stata. Si è discusso molto delle rivolte e pochissimo dei morti. Così come si è discusso pochissimo delle conseguenze, delle ragioni e delle responsabilità per quelle morti, che non penso possano essere semplicemente legate alle rivolte.
Ci sono state sottovalutazioni e errori e ci sono responsabilità precise per quanto avvenuto.
Mi sono occupato di questa vicenda e ho presentato un’interrogazione in Senato perché ho comunque un interesse generale sul tema del carcere ma conoscevo anche Salvatore Piscitelli, uno dei detenuti morti.
Piscitelli era stato recluso nel carcere di Opera, partecipava a un’esperienza teatrale molto brillante e vivace, che si conduceva lì; era un tossicodipendente che era finito in carcere per piccoli reati, era stato scarcerato da Opera e aveva commesso altri piccoli reati che lo avevano reintrodotto nel circuito penale.
Molte delle persone decedute o comunque coinvolte in queste vicende sono persone che sono state condannate o in attesa di giudizio per piccoli reati.
Questa questione apre un tema che è centrale e cioè quale funzione deve avere il carcere nel nostro Paese. Oggi, il carcere continua a produrre recidività e violenza. Dobbiamo, quindi, riflettere se accettiamo di tornare a un’idea di un carcere che è solo punitivo (che è un’idea presente anche in altri Paesi), oppure se recuperiamo il valore della Costituzione che dice che il carcere deve avere una funzione rieducativa, di recupero e, in questo senso, anche una grande funzione sociale, a garanzia di tutti.
Penso che su questo si debba lavorare.
La vicenda del coronavirus apre una serie di scenari su cui penso che si debba lavorare, che sono legati a ciò che si è fatto in questi mesi per mettere in sicurezza le carceri rispetto al contagio e occorre capire se si può partire da lì per prendere quelle misure e trasformarle in provvedimenti che vanno oltre la fase emergenziale.
Ad esempio, abbiamo fatto una norma che consente a chi è in permesso premio e in permesso di lavoro di non tornare a dormire in carcere e di restare fuori. Alla fine di questa vicenda dovremo vedere come si sono comportate queste 800 persone. Se di fronte a un dato di questo tipo non ci fossero recidività e ci fosse un grande rispetto delle regole da parte di queste persone, forse bisognerebbe interrogarsi per valutare se il trattamento esterno debba essere privilegiato, ampliando il numero dei reati e delle persone che possono accedervi non entrando in carcere. Questo penso che sia un tema da approfondire.
Così come è importante il tema della comunicazione con i familiari e i parenti.
Abbiamo introdotto una norma che consente ai detenuti che hanno figli minorenni o genitori anziani o malati di sentirli tutti i giorni, cosa che prima non si poteva fare. Questo è stato fatto a partire da una proposta che è venuta dal carcere e da un’esperienza come quella della Nave di San Vittore, che è un’esperienza importante.
Il tema della comunicazione e del rapporto con l’esterno, i parenti e gli affetti è molto importante per ridurre il disagio che si vive in carcere, almeno quanto quello di avere spazi trattamentali o altro.
Un’altra considerazione è che la pandemia ci porta oggi a poterci misurare con una disponibilità economica molto significativa che credo che vada investita sulle carceri.
Non penso che alla sovrappopolazione carceraria si risponda creando più celle. Penso, invece, che dobbiamo depenalizzare alcuni reati e usare la giustizia riparativa per altri ma abbiamo bisogno di investire più soldi per aumentare gli spazi per il trattamento, l’educazione, l’incontro e la scuola all’interno delle carceri, e questa sarà la proposta che avevamo già presentato e che riprenderemo per il Recovery Plan. C’era già un progetto su questo, infatti, che credo vada ripreso. Anche questo, infatti, va nella direzione di un Paese che assume la lezione che viene dalle rivolte e dal disagio che esplode e mette in campo misure concrete per ridurre il disagio e per far stare in carcere chi davvero per forza deve stare lì.
Il mettere una persona in carcere non è l’unico modo per fare giustizia, soprattutto se i reati sono di piccola importanza.
Credo che si debba comunque fare chiarezza sulla vicenda dei morti di Modena.
Le cause della morte sono ormai evidenti - lo ha esplicitato la magistratura e l’anatomopatologa a cui si è rivolto il Garante dei Diritti dei Detenuti che la morte di queste persone è legata all’abuso di droghe, metadone o altro - ma questo non toglie le responsabilità, né significa che si possono tollerare le violenze, se ci sono state e che credo vadano perseguite con molta durezza, a prescindere da questo.
Vanno, comunque, accertate le responsabilità.
Rispetto ai detenuti morti lontano dal carcere di Modena, c’è stata una violazione delle norme perché quelle persone andavano visitate prima di essere messe sui cellulari per essere trasferite. Chi dirigeva il carcere, infatti, doveva assicurarsi che quelle persone fossero nella condizione di essere trasferite.
In altre carceri, dove sono successe le stesse cose e sono morte delle persone per le stesse ragioni, altre si sono salvate perché immediatamente sono state curate per l’overdose e le intossicazioni a cui erano andate incontro.
Se la causa ultima della morte è stata l’overdose, quindi, non vuol dire che automaticamente vengono cancellate le responsabilità legate alle violenze o legate all’aver violato dei protocolli e messo quelle persone nelle condizioni di morire mentre potevano essere curate.
Su tutto questo bisogna fare chiarezza e sta lavorando la magistratura.
Dopo la dichiarazione delle persone che hanno denunciato le violenze, anche il Garante dei Diritti dei Detenuti ha chiesto un approfondimento ai suoi consulenti medici che stanno lavorando e hanno acquisito tutti i documenti.
La cosa certa è che su questo bisogna andare avanti e arrivare alla fine delle inchieste e all’accertamento delle responsabilità.
Su questo credo che, facendo seguito alle interrogazioni che abbiamo già fatto, ne faremo un’altra per chiedere anche al nuovo Ministro - che ha sempre dimostrato un’attenzione significativa sulle vicende del carcere - di garantire che questo processo di accertamento della verità vada fino in fondo.
Oltre alla verità, il modo giusto per onorare queste persone che sono morte è anche quello di impegnarsi per migliorare le condizioni del carcere e impedire che si arrivi al livello in cui si è arrivati con le rivolte e con le sofferenze che ci sono state in questi mesi.
Possiamo sicuramente fare delle cose.
C’è una proposta di legge depositata che riguarda la questione delle telefonate dal carcere.
Per adesso, siamo riusciti a far approvare un emendamento con cui si dà la possibilità alle persone che sono in carcere di telefonare tutti i giorni ai figli e a parenti in condizioni di salute preoccupanti o disabili.
La norma in vigore contempla solo la possibilità di fare delle telefonate, quindi, è una cosa molto circoscritta.
È evidente che il lockdown e la pandemia hanno portato ad un uso molto maggiore del telefono ma anche di smartphone e strumenti per videochiamate. Dobbiamo, quindi, partire da questa esperienza per verificarla, estenderla e dare continuità.
È evidente che per dare continuità a questo, però, bisogna mettere in campo anche risorse che garantiscano a tutte le carceri gli strumenti adeguati. Ci sono molte carceri che hanno già sistemato questo aspetto mentre altre, con investimenti significativi, credo che si possano adeguare.
La prima cosa da decidere, però, è che quelle norme, nate come emergenziali, diventino permanenti.
Conosco bene la vicenda del regime trattamentale esterno e interno alle carceri di Reggio Emilia e Modena.
Sono state decise nuove assunzioni e avrebbero già dovuto essere fatte, se non ci fosse stato il lockdown, anche per il trattamento interno ed esterno.
Con la sensibilità che ha sempre dimostrato la Ministra Cartabia su queste questioni, penso che queste misure possano essere accelerate. Tra l’altro, nel Recovery Plan non sono previste solo le assunzioni per gli agenti di custodia ma anche per tutta l’area trattamentale interna ed esterna al carcere.
Penso che bisogna andare verso un’idea diversa del carcere e applicare la Costituzione. Penso anche, però, che tutto questo non sia semplice.
Personalmente, sono dell’idea che occorra intervenire sull’edilizia carceraria non per costruire nuove celle ma per fare in modo che ci siano più spazi trattamentali.
Sono anche dell’idea di ridurre i reati per cui si va in carcere. Credo, infatti, che bisogna lavorare molto sulla depenalizzazione di alcuni reati e sulla giustizia riparativa.
L’esperienza di questi mesi indica che è possibile e forse conveniente, se vogliamo davvero il reinserimento e non la recidività, aumentare il numero di persone che espiano la pena fuori dal carcere e, quindi, il trattamento esterno.
Aggiungo che, se i dati sulla non recidività mostrata dalle 800 persone che erano in permesso premio o di lavoro e grazie ai provvedimenti presi in emergenza sono rimaste fuori dal carcere è quasi pari a zero, forse va ripreso anche il ragionamento di aumentare gli sconti di pena per buona condotta.
C’è una proposta in tal senso che abbiamo fatto in questi mesi, con cui abbiamo chiesto di aumentare in maniera significativa lo sconto di pena - che già oggi è previsto per buona condotta - ma non ci siamo riusciti. Dentro a un contesto di questo tipo, con dei dati che dimostrano come queste scelte pagano, credo che si possa fare e, dunque, penso che si debba andare in quella direzione.
Bisogna, però, sempre tenere conte che certamente c’è un Ministro che ha buona disponibilità ma al contempo c’è anche uno scontro politico molto forte sulla questione del carcere. Non è semplice ottenere delle cose. Quello che abbiamo ottenuto è stato molto difficile da ottenere.
C’è una forza politica, la Lega, che ha l’idea della pena come punizione e non come riabilitazione e sostiene che bisogna “buttare via le chiavi” e questo messaggio viene ripetuto continuamente. Non vanno dimenticate le reazioni di fronte alle nostre proposte di provvedimenti per l’emergenza con cui si prevedevano arresti domiciliari per chi ha meno di 18 mesi da scontare: su questo fu fatta una grande campagna di propaganda.
C’è, quindi, uno scontro politico su questo e non è semplice arrivare a dei risultati. Per questo motivo, sono dell’idea che occorra procedere per step successivi, andando in questa direzione.
Rispetto alla circolare emanata da Gabrielli, mi pare che serve a dare gli strumenti alla pubblica sicurezza per intervenire in caso di ulteriori rivolte o aggressioni nelle carceri. Nel merito conosco poco i contenuti della circolare e non so dire se siano giuste o sbagliate le misure previste ma sono certo che non ci sia nessuna violazione dei diritti o di libertà.